OLTRE IL SETIT
Suggestioni e fedeltà storica nella realizzazione di una scenetta di soggetto coloniale italiano.
IL MODELLO
L’idea di questa composizione nasce dalle pagine del libro AMHARA Cronache della Pattuglia Astrale di Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo e dai bellissimi disegni al tratto che, dovuti all’arte dello stesso autore, ne arricchiscono le pagine. E giusto questi disegni, ricchi della densità narrativa che caratterizza le opere di chi degli avvenimenti raffigurati è testimone oculare, una volta verificata, così da fugare i residui dubbi in proposito, l’attendibilità dei particolari uniformologici disegnati e descritti a parole, mi hanno stimolato a realizzare questa scenetta. Quella che mi è parso di poter cogliere è l’opportunità di mettere in scena una situazione storicamente credibile, puntuale nei dettagli uniformologici unita alla possibilità di rappresentare perfino i tratti somatici di almeno uno, se non due, dei personaggi rappresentati grazie alle descrizioni ed i disegni presenti nel libro. Rimandando a dopo l’inquadramento storico generale e la descrizione del contesto specifico in cui si svolge l’episodio rappresentato , mi soffermerò ora su cosa ho inteso esprimere poco sopra con la formula “opportunità da cogliere”, facendo peraltro questa il paio con un’altra opportunità, cioè quella di potere in questa sede proporre all’attenzione del lettore i tratti salienti della mia “ideologia” (parolone….?) modellistica
Entriamo dunque in merito punto per punto su quali aspetti di natura modellistica, a mio parere fra i più significativi, ho potuto mettere insieme con il tema di questo piccolo diorama. In primo luogo mi riferisco alla cifra cromatica della composizione ritenendo che questa sia positivamente caratterizzata dalla dominante che va dal bianco alle varie declinazioni del cachi. Fanno da contrappunto i colori vivaci delle fasce distintive di battaglione, sottolineando che, palesemente, è proprio questo l’aspetto più accattivante di tutta l’uniformologia coloniale italiana. Nel caso di soggetti in uniforme, non i medievali, beninteso, non ho mai amato scenette con tante uniformi diverse e dunque molti colori tutti insieme. Vent’anni fa’ andavano per la maggiore scenette con tre trombettieri di cavalleria napoleonica; uno rosa, uno celeste, l’altro arancione, magari tutti seduti a pescare: terrificanti! Ora non è più così ma qualche bel Balaclava con un ussaro, un lanciere ed un dragone leggero si vedono ancora! Non sono davvero idee di questo tipo quelle che preferisco. Ma per tornare a noi, dunque alcune macchie di colore, per di più chiaro elemento di distinzione uniformologica, sono a mio avviso un ottimo presupposto per un buon risultato modellistico. Si aggiunga a quanto detto sull’argomento il colore dei due animali, il cavallo ed il mehari, ben intonati con il resto. Credo sia di immediata intuizione quanto, magari proprio nel caso di una scenetta di piccole dimensioni, possa essere di arricchimento la presenza di due animali diversi: credo anche che i camelidi siano “soldatinescamente” parlando molto efficaci. Rimanendo sui due animali attribuisco grande importanza sotto l’aspetto compositivo ed anche a quello che chiamerei “cogli l’attimo”, il fatto che non siano entrambi rivolti nella stessa direzione. Voglio precisare che tale posizione è sì un espediente compositivo ma che la gestualità di tutti i personaggi la giustifica ampiamente. In questo senso faccio notare che proprio questi personaggi sono, ciascuno a suo modo, tutti attivi e tutti coinvolti da uno stesso intuibile accadimento: in lontananza qualcosa, o qualcuno, si sta profilando. Se n’è accorto lo sciumbasci dei meharisti; il fante scruta verso l’orizzonte; l’ufficiale di cavalleria, allertato, si gira nella direzione indicata dal vecchio graduato eritreo mentre un membro del suo reparto gli porge il binocolo. Dunque, come detto, tutti i personaggi partecipano all’azione, pur senza atteggiamenti concitati: – “ positivo”- dico io! Già a questo punto, risultando soddisfacenti secondo il mio criterio tre aspetti ai quali attribuisco la massima importanza, è possibile fare un primo bilancio. Dopo aver chiarito che le valutazioni che vado sviluppando vanno intese come relative alla fase di progettazione o, al limite, di work in progress, e non nascondendo un po’ di soddisfazione derivata da un risultato finale che, a prescindere dalla sua qualità sulla quale non sta a me esprimere giudizi, ha premiato le mie aspettative rispettando in modo quasi totale quanto da me programmato, ritorno più nel dettaglio sui tre aspetti di cui sopra. Primo: trovo l’impasto cromatico gradevole, armonioso senza scadere nel ripetitivo. Ottenere un accettabile aspetto “coloniale” e “in campagna” ha richiesto un paziente lavoro di variazioni sulla tavolozza del cachi; delle fasce colorate ho già detto. Secondo: la geometria della composizione sfrutta vari elementi favorevoli derivanti dalle caratteristiche dei personaggi e della situazione rappresentata. E dunque la verticalità del mehari, bilanciata dallo spazio vuoto fra questo e l’ascari di sinistra; vuoto che in più suggerisce “sosta”, “riposo”. Infine la massa dei due animali che si sovrappongono con l’aggiunta di un personaggio appiedato. L’azione di quest’ultimo lo costringe ad una situazione di parziale copertura, che però, tutto sommato, mi sembra aggiungere un pizzico ulteriore di veridicità alla narrazione nulla togliendo alla geometria della composizione. Terzo: Un buon risultato in quella che non senza un po’ di compiacimento amo definire “vibrazione psicologica” dell’elaborato, figura singola o scenetta che sia. Con “vibrazione psicologica” intendo quanto esso riesca a esprimere della situazione che rappresenta e, nei limiti, lo stato d’animo dei personaggi coinvolti; quanto insomma i nostri “puffi” (Ivo Preda docet) si giochino fino in fondo la possibilità di diventare “cinematografo”! Oltre all’indispensabile contributo dato da un buon assetto della composizione è l’accuratezza nel realizzare i particolari dell’atteggiamento dei personaggi spesso anche i più piccoli, come l’inclinazione e l’orientamento della testa, lo sguardo, le mani più o meno impegnate nella gestione di armi o altro, che può aggiungere alle nostre creazioni questo ulteriore elemento di godibilità e di qualità. In Oltre il Setit la convergenza dell’attenzione dei personaggi verso un unico punto lontano è l’idea di “vibrazione psicologica”che ho sviluppato sperando di aver ottenuto un risultato apprezzabile.
Secondo il modo di operare che ho già sopra definito la mia “ideologia” modellistica, molto meno valore avrebbero tutti gli aspetti sin qui trattati in mancanza di una ragionevole fedeltà storica. Concediamoci due righe in proposito, anch’esse contribuiranno alla lettura della scenetta protagonista di questo contributo. Dicevo ragionevole, ma diciamo pure accettabile, o almeno dignitosa ricerca storica. Senza di questa gli ingredienti di cui sopra, colore, composizione, vibrazione, faranno fatica a quagliare; il risultato difficilmente potrà essere ottimale. Partendo da una buona documentazione non dico che le cose vengano da sé ma sicuramente si è già un bel pezzo avanti! Ho iniziato raccontando di come ero rimasto colpito dal lavoro di penna e matita di Paolo Caccia Dominioni. Il suo materiale confrontato e fatto interagire con gli scritti e le immagini opera dei vari Compagni, Del Giudice, Parducci, Ricciardi, Ruggeri, Viotti, Zorzetto, ecc. stimolava la mia creatività offrendomi, quasi “chiavi in mano” tante informazioni utili grazie alle quali i personaggi e la situazione in cui sarebbero andati a svolgere un’azione precisa prendevano via via sempre più consistenza. Fase di ricerca e progettazione: puro divertimento foriero di divertimento puro in fase di realizzazione. Occhio! La mia “ideologia” prevede anche il divertimento…….
– Tavola di P. Caccia Dominioni (una delle quattro allegate ad Ascari K7). I primi due personaggi in alto a sinistra appartengono (da sin.) alla Banda cammellata ed alla Banda d’artiglieria del Bassopiano Occidentale; il quarto è un ascari del XXVIII Btg. Eritreo.
Ciascuno dei quattro personaggi ha riscontro, perlomeno riguardo all’uniforme indossata, negli scritti e nei disegni del Caccia. L’ascari di fanteria appartiene ad un battaglione di linea eritreo, il XXVIII ed è l’unico appartenente ad un reparto ad inquadramento regolare; gli altri tre, invece, uno alla Banda cammellata del Bassopiano Occidentale e gli altri due alla Banda a cavallo del Bassopiano Occidentale (che in seguito verrà denominata Banda dell’Amhara). Tornando al fante il Caccia raffigura nei suoi disegni ascari con in testa sia il tarbush che il turbante e con pantaloni sia corti che lunghi. Ho scelto turbante e pantaloni corti che “fanno” più bassopiano e soprattutto perché una foto li mostra con indosso i capi suddetti.
La fascia del XXVIII è a righe orizzontali gialle e blu. Come già accennato lo sciumbasci a mehari (quelli imparati dicono così) appartiene alla Banda cammellata del Bassopiano Occidentale ed è il più e il meglio “raccontato” nella narrazione, in pratica un diario, del maggiore, allora capitano Paolo Caccia Dominioni. Un vivacissimo disegno ne conferma la descrizione: nero, e fin qui niente di particolare, con la sua barba bianca, e con al braccio il pannello triangolare porta gradi arricchito da tre stelle d’anzianità e da tre stanghette dorate a segnalare tre ferite. Inequivocabile la fascia bianca e cremisi di reparto portata a mo’ di turbante, poi la sahariana con stretta in vita una seconda fascia, i pantaloni da mehari tipo sirual e i sandali. Ovviamente il vecchio guerriero ha un nome: Mahmud.
– Mahmud, sciumbasci della Banda cammellata del Bassopiano Occidentale nel disegno di P. Caccia Dominioni.
Qualche problema in più me l’ha creato l’equipaggiamento del mehari. Per l’affardellamento mi sono attenuto ad alcune foto un po’ anteriori. Nessun dubbio su tipo di sella da rappresentare: quella detta maklufa, cioè non quella berbera la cui caratteristica più appariscente è l’arcione anteriore terminante in una sorta di ampia croce.
Se la figura, in tutti i sensi, del buon Mahmud ha funzionato da ispirazione iniziale per la messa a punto di una scenetta che prevedesse la sua presenza l’idea si è consolidata e chiarita grazie al disegno, piccolo ma con tutti i dettagli fondamentali ben definiti, con cui il Caccia mi ha dato la possibilità di rappresentare l’ufficiale comandante la Banda a cavallo del Bassopiano Occidentale, vale a dire il capitano Gian Alberto Bechi Luserna – “…il più bello e il più brillante capitano della cavalleria italiana…” – leggo su Amhara.
Il disegnino lo mostra a cavallo con indosso una sahariana personalizzata dalle maniche corte ed in capo un casco coloniale a falda ampia all’inglese; guanti, stellette al collo, nastrini sul petto. La didascalia del disegno in cui compaiono anche un graduato e due individui dello stesso reparto porta come didascalia di pugno dell’autore Outre Setit 7. III. 1936 P.C.D..
Va da sé che anche il mio graduato della banda di cavalleria ha attinto a questo disegno. Le uniformi di questi due ultimi personaggi sono completamente cachi compreso il turbante del graduato di truppa, un bulukbasci come mostra il suo grado composto da due strisce rosse. La fascia distintiva di reparto è bianca/rossa/bianca in orizzontale. Le caratteristiche strutturali delle figure appena descritte sono le seguenti. Ascari del XXVIII Btg.: figura della ditta Berruto modificata. Sciumbasci della Banda meharista: pezzo unico con utilizzo di materiale della ditta La Meridiana (uomo e mehari). Capitano della banda a cavallo: figura auto costruita e cavallo di derivazione varia. Bulukbasci della banda a cavallo: figura della ditta La Meridiana modificata. L’ambientazione è caratterizzata da una diffusa presenza di rocce (naturali, poi dipinte) che assolvono ad una triplice funzione compositiva. Tentando innanzitutto di riprodurre la natura dell’ambiente in cui ho immaginato si potesse svolgere l’episodio, le formazioni rocciose che si sollevano alla sinistra della scenetta sono concepite per aggiungere un ulteriore elemento di veridicità al personaggio in osservazione. Per concludere le rocce proseguono verso destra a formare la “quinta” della composizione, abituale espediente atto a delimitare lo spazio in cui si svolge l’azione.
– Il capitano Bechi Luserna.
PROGETTO E REALIZZAZIONE DELLA SCENETTA
Come ho scritto nella prima parte di questo contributo la scenetta Oltre il Setit mi è stata ispirata dalla lettura di un libro scritto da Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo e dall’osservazione dei disegni dello stesso autore in esso contenuti. Il titolo dell’opera in questione è AMHARA Cronache della Pattuglia Astrale. Testo e disegni del Capitano Caccia Dominioni di Sillavengo delle Truppe Coloniali d’Eritrea. Ma facciamo un passo indietro. Nella mia non breve carriera di modellista ed appassionato di uniformologia e di storia militare non mi ero mai occupato del periodo coloniale italiano. Sapevo che il babbo aveva alcuni libri del Caccia Dominioni con dedica dell’autore e le quattro stampe a colori con i disegni di ascari eritrei, a corredo di una di queste pubblicazioni intitolata Ascari K7, erano da tempo incorniciate ed appese a casa mia.
Consigliato da più parti a dare un’occhiata all’uniformologia coloniale italiana mi sono finalmente deciso e dopo essere stato folgorato sulla via di Damasco (i colpevoli: Zorzetto, Fossati, De Gaetano, ecc.) ho aperto Ascari K7 nel frattempo ereditato. La lettura mi ha molto appassionato e mi ha fatto scoprire che esisteva un’altra opera dello stesso autore e sullo stesso argomento che era stata pubblicata a Parigi, in Francese, nel 1937 e che questa nel 2006 era stata finalmente pubblicata in italiano; così ho potuto acquistarla.
Naturalmente si tratta di AMHARA, che ho più volte già rammentato e che in sostanza consiste in una parte del testo di Ascari K7, quella appunto dedicata alla cronaca dell’attività della “Pattuglia Astrale” alla cui stesura il Caccia Dominioni era stato incaricato in qualità di comandante di quel reparto, nel periodo in cui era stata aggregata prima alla Colonna Gastinelli e poi alla Colonna Starace. Per fortuna rispetto ad Ascari K7 c’erano alcuni ulteriori disegni e tutti erano più grandi. Ho letto il libro, con la conseguente rilettura di alcuni capitoli di quello precedente, cosa che mi ha permesso di capire meglio gli avvenimenti e di cogliere quanto di importante proponessero i disegni anche con l’apporto delle utilissime mappe con i percorsi delle due colonne. Nel frattempo la mia conoscenza dell’argomento si era abbastanza irrobustita tanto almeno da farmi capire che quella narrazione e quei disegni, straordinariamente attendibili nella loro semplicità, potevano essere la migliore delle fonti di ispirazione per una scenetta di quelle che piacciono a me. Così l’idea piano piano mi si è formata nella mente. A dir la verità….neanche poi cosi piano…!
INQUADRAMENTO STORICO
La pattuglia Astrale e la Colonna Gastinelli
Sul libro Un uomo, Paolo caccia Dominioni, edito a cura della Rivista Militare a proposito della Pattuglia Astrale e del suo ruolo avuto in appoggio alla Colonna Gastinelli, si legge quanto segue: – “a metà gennaio 1936 comincia il nuovo impegno del capitano Sillavengo nel quadro della seconda fase delle azioni offensive italiane: a sud le truppe di Graziani puntano su Neghelli; da nord Badoglio lancerà l’offensiva contro la regione del Tembien. Le colonne avanzate si inoltrano in territori pressoché sconosciuti, scarsamente abitati da popolazioni che parlano solo i propri dialetti e che devono peraltro essere contattate, per ottenere notizie sul terreno e sul nemico. L’ufficio “I” del Comando Superiore decide la formazione di una pattuglia informativa composta da ascari capaci di parlare arabo, tigrino, aramaico, e qualche altro idioma. La comanda il Capitano Sillavengo che conosce e parla l’arabo. Compito: muovere in testa alle colonne in avanzata, riconoscere il terreno, stabilire i percorsi da seguire, contattare gli abitanti e trarre da loro le informazioni necessarie. Nasce così quella che il Capitano battezzerà “la Pattuglia Astrale”. Che inizialmente sia composta da lui e da un muntàz (o caporale) sudanese, Idris Ahmed, che a sua volta conosce bene l’arabo, nonché il nubiano, l’italiano e l’aramaico. Gli altri si troveranno via via nelle zone d’impiego: all’italiana! La prima missione della pattuglia è in sostegno all’azione del Raggruppamento celere del Bassopiano Occidentale, comandato dal Colonnello Gastinelli che, nel quadro delle operazioni condotte dal II C.A. del Generale Maravigna, ha il compito di fiancheggiare sulla destra il dispositivo d’attacco del Maresciallo Badoglio, muovendo al confine tra Eritrea e Sudan, lungo la direttrice Omager-Abd el Rafi, tra il fiume Setit ed il fiume Angareb. L’operazione dura due settimane e si conclude il 17 marzo, giorno in cui la pattuglia, che ha arruolato un nuovo componente, Hagavà Halù, ascari della Banda del Setit, riceve l’ordine di rientrare urgentemente ad Omager per una nuova missione.”
Quella che il Sillavengo nei suoi scritti definisce sistematicamente come Colonna Gastinelli è in effetti, come appena visto, il Raggruppamento celere del Bassopiano Occidentale, forza composta da truppe indigene di tutte le armi. Questa faceva parte autonomamente del contingente della Zona del Bassopiano Occidentale comandato dal generale Amedeo Couture, inquadrato nel Corpo d’Armata Indigeni dell’Eritrea comandato a sua volta dal generale Alessandro Pirzio Biroli. Il colonnello Carlo Gastinelli, da sempre inquadrato nell’Arma di Cavalleria, morì di tifo ad Abd el Rafi il 13 settembre 1936.
Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo
Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo è noto al grande pubblico grazie alla suo ruolo di progettista e principale animatore del Sacrario di Quota 33 ad El Alamein che grazie al suo incessante impegno durato quattordici anni ospita le salme di 3.000 caduti italiani, tedeschi ed alleati, con l’aiuto di Renato Chiodini, un suo ufficiale subalterno al XXXI Btg. Guastatori, unità da lui comandata durante la Seconda Guerra Mondiale.
Poiché mio padre Ubaldo era sergente di tale reparto, durante gli anni dell’infanzia, avendone un ricordo abbastanza sfumato, ho incontrato il Caccia (così lo chiamava il babbo) che, tutte le volte che veniva a Firenze lo passava a trovare. Il suo profilo (1896-1992) lo vede ingegnere, architetto, artista, scrittore e soldato. Tenente del Genio nella Prima Guerra Mondiale e nella Campagna di Libia, Capitano in Africa Orientale e Maggiore comandante del XXXI Btg. Guastatori nella Seconda Guerra Mondiale, Capo di Stato Maggiore del C.V.L. Lombardo nella Resistenza. Decorato di Medaglia d’Argento al V.M., due Medaglie di Bronzo al V.M., Croce al V.M., quattro Croci al Merito di Guerra, Croce di Ferro tedesca, Medaglia d’Oro al Valore dell’Esercito alla memoria; due ferite di guerra.
Gian Alberto Bechi Luserna.
Gian Alberto Bechi Luserna (1904-1943), serve in cavalleria come comandante di uno quadrone di savari in Cirenaica e durate la Guerra Italo-Etipoica è alla testa della Banda a cavallo del Bassopiano Occidentale.
Pervenuto all’attenzione del ministro degli esteri Galeazzo Ciano nel 1940 viene inviato a Londra con il delicato incarico di addetto militare. Successivamente chiede ed ottiene di passare ai paracadutisti. Raggiunge l’Africa Settentrionale al comando del IV Btg. Paracadutisti della Divisione “Folgore” e nel 1942 divenuto comandante interinale del 187° Rgt. Paracadutisti ottiene la sua quarta Medaglia di Bronzo nel corso dei combattimenti svoltisi nel corso della battaglia di El Alamein nell’area di Deir el Munassib*. Divenuto Capo di Stato Maggiore della Divisione Paracadutisti “Nembo” muore in Sardegna nel corso degli scontri che vedono protagonista quel reparto in ordine all’accettazione dell’armistizio. Uno dei militari che vi si ribellavano gli spara uccidendolo. Con la collaborazione di Paolo Caccia Dominioni e Livio Pesce, il Bechi ha scritto I ragazzi della Folgore a cui si deve la “fortuna” della leggenda della Folgore a El Alamein.
Onoreficenze: Medaglia d’Oro V.M., quattro Medaglie di Bronzo al V.M., Croce al V.M., Medaglia d’Argento al V.C.
*Dove il sergente del XXXI Btg. Guastatori Ubaldo Venturi in data 28 ottobre 1942 ottenne una licenza a premio per il valore dimostrato durante un’azione notturna. Così il babbo tornò in Italia, cosa che con tutta probabilità gli salvò la vita.
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