MONTAPERTI

    16 Settembre 1260

Il 16 settembre 1260 l’Oste fiorentina rinforzata dai contingenti delle città guelfe alleate Lucca, Arezzo, Pistoia, Prato, Volterra, San Miniato, San Gimignano, Colle Val d’Elsa, Bologna, Orvieto e Perugia marcia in direzione di Siena. Oltre ad una probabile intenzione intimidatoria verso la città rivale, scopo della campagna è di portare soccorso alimentare alla amica Montalcino. L’esercito si accampa presso il fiume Arbia non lontano dalle mura di Siena. Alle prime luci dell’alba l’esercito senese esce di città e investe i Fiorentini cogliendoli di sorpresa e quindi con le truppe non schierate a battaglia. Le forze senesi sono articolate in quattro corpi. Il primo, guidato dal conte di Arras è composto da 800 cavalieri tedeschi inviati da re Manfredi di Sicilia in soccorso di Siena ghibellina. Gli altri due corpi sono composti dalla cavalleria e dalla fanteria senesi, comandati rispettivamente dal Conte Giordano d’Anglano e da Aldobrandino Aldobrandeschi; Niccolò da Bigozzi comanda il quarto corpo ed è a guardia del carroccio senese. Causa la sorpresa i Fiorentini sono colti dal panico e fuggono in disordine. Specialmente la cavalleria si sottrae in massa dal combattimento, motivo per cui verrà in seguito accusata di tradimento. Durante la fase centrale della battaglia la fanteria fiorentina sostenuta da quella lucchese si riorganizza intorno al carroccio e subisce l’urto della prima divisione senese sotto il comando del conte di Arras, che, grazie una manovra di aggiramento, può investire sul retro le forze nemiche. La rotta definitiva della forze guelfe è così inevitabile e la giornata termina con un’ultima disperata difesa di pochi irriducibili riunitisi intorno al castello di Montaperti.

Si ritiene che l’esercito guelfo fosse composto da 30.000 fanti e 3.000 cavalieri e che le perdite ammontarono a 10.000 morti e 15.000 prigionieri mentre quello ghibellino la cui forza è stimata in 18.000 fanti e 1.800 cavalieri ebbe 600 morti e 400 feriti.

1 – La battaglia di Montaperti.

Miniatura illustrante la “Nuova cronica” di Giovanni Villani (ms. Chigiano L VIII 296 – Biblioteca Vaticana).

 

2/3/4 – Miniature della Bibbia Maciejowski.

Pierpont-Morgan Lib., New York.

 

 

Il famoso codice di manifattura francese datato intorno alla metà del XIII secolo, conosciuto come “Bibbia Maciejowski”, è universalmente considerato una delle più importanti, se non la più importante, referenza iconografica per lo studio dell’armamento europeo occidentale della metà del duecento ed in modo particolare per quello delle fanterie. Le descrizioni reperibili nelle fonti italiane ad essa coeve, sia scritte che iconografiche, ci informano che le miniature della “Maciejowski” mostrano armamenti ed equipaggiamenti perfettamente corrispondenti a quelli in uso sui campi di battaglia italiani durante gli anni centrali del XIII secolo. Nessun’altra opera o ciclo di opere duecentesche propone una così alta concentrazione di rappresentazioni di cervelliere e cappelli di ferro, imbottiti ed incoiati, usberghi ed usberghini, collari, balestre, armi manesche e in asta o quant’altro componesse l’armamento offensivo e difensivo delle fanterie di tale periodo, il tutto con una precisione ed una ricchezza di particolari unica nel suo genere. Le miniature della “Bibbia Maciejowski” sono, come emergerà con evidenza, la fonte documentaria principale alla quale ho attinto le informazioni necessarie per la realizzazione delle figure di fanti che proporrò nel prosieguo di questo saggio.

5 – Fanti fiorentini, 1250-300.

In questa illustrazione di Angelica Cortini, tratta dal libro “Montaperti, La battaglia nel diorama di Mario Venturi”, sono rappresentate le varie categorie di specializzazione nelle quali si articolava la componente combattente della fanteria di un esercito comunale, in questo caso fiorentino. Partendo da sinistra: lanzalonga (picchiere), palvesaro, fante generico con arma in asta (falcione), balestriere, arcatore (arciere).

 

6/7 – Unità combattente di fanteria. Firenze, 1250-300.

 

 

Durante il XIII secolo le fanterie comunali, in caso di battaglia campale, erano solite schierarsi avvalendosi dell’azione combinata dei tre combattenti specializzati per eccellenza: palvesaro, lanzalonga, balestriere. Gli scontri delle opposte cavallerie, che di solito inauguravano la “giornata”, si alternavano o si esaurivano nel ripiegare delle stesse, specialmente se battute, dietro la linea dei palvesi eretta dalla fanteria amica. La fanteria, in questa fase della battaglia, provvedeva alla difesa di se stessa e della propria cavalleria in riordino mediante il tiro dei balestrieri e la minaccia delle lunghe lance protese oltre il muro dei palvesi. Tendenzialmente a ciascun palvesaro corrispondeva una lanzalonga ed un balestriere. Nel prosieguo della battaglia, quando con il collassare delle forze di uno dei contendenti ci si avviava alla conclusione del combattimento si apriva una fase, quasi sempre caratterizzata da un “fuggi fuggi” seguito da un “ammazza ammazza” generalizzato, durante la quale ogni accorgimento tattico veniva meno e tutto si riduceva in una mischia indefinita.

8/9/10 – Fanteria fiorentina.

In queste inquadrature del diorama della battaglia di Montaperti, da me realizzato alcuni anni orsono, è ben visibile la linea della fanteria fiorentina a difesa della Martinella durante la fase finale dello scontro. Protetti dai palvesi agiscono il palvesaro, al quale è affidata la gestione del grande e pesante scudo, il lanzalonga, che brandisce la lunga asta protesa oltre la linea dei palvesi ed il balestriere che carica la sua arma e tira protetto e difeso. A tutti questi si frammischiano i fanti generici armati di armi manesche e d’asta. Durante la battaglia il palvese poteva essere sostenuto da un palo piantato in terra o sostenuto dallo stesso palvesaro. Benché non lo si possa escludere non esistono testimonianze precise della presenza del “giglio vermiglio” a tutto campo come insegna dipinta sui palvesi fiorentini. In assenza di certezze (vedi figg……), ho in questo caso scelto la soluzione che mi è parsa di maggiore impatto spettacolare e narrativo, coerentemente con tutte le altre decisioni analoghe da me prese nella progettazione ed esecuzione del diorama.

11/12 – Fanti fiorentini.

 

 

La linea di difesa della fanteria fiorentina, comincia a cedere sotto la pressione della cavalleria ghibellina. In queste immagini sono visibili tutti gli elementi dell’armamento difensivo tratti dalle miniature della “Bibbia Maciejowski”. Come protezione del tronco prevalgono i giubboni imbottiti e vari tipi di corpetti in cuoio; anche per gli arti dominano protezione fatte con gli stessi materiali. La maglia di ferro, costosissima, è quasi assente e comunque riservata ad alcuni elementi della protezione dei balestrieri. Il personaggio in secondo piano protetto da un usbergo completo di cuffia avvolgente è il gonfaloniere (comandante) del sestiere (S. Pancrazio). Le teste sono protette da cappelli di ferro, anche con coppo in cuoio, cervelliere o cuffie imbottite. Tutti questi elementi si indossavano sopra gli indumenti della vita quotidiana a sottolineare la distanza verso una qualsiasi forma di standardizzazione sia dell’armamento che dell’equipaggiamento in uso presso le fanterie comunali, a cui facevano eccezione i palvesi, forniti dal Comune come probabilmente anche le balestre.

13 – Fanti fiorentini.

In questa illustrazione di Angelica Cortini, tratta dal libro “Montaperti, La battaglia nel diorama di Mario Venturi”, sono rappresentate le varie categorie di specializzazione nelle quali si articolava la componente combattente della fanteria di un esercito comunale, in questo caso fiorentino. Partendo da sinistra: lanzalonga (picchiere), palvesaro, fante generico con arma in asta (falcione), balestriere, arcatore (arciere).

 

14/15/16 – Balestrieri fiorentini.

 

La balestra dell’epoca delle fanterie comunali era del tipo con caricamento detto “a crocco”. Per ottenere la tensione della corda il balestriere Infilava il piede nella staffa fissata alla parte anteriore della balestra, agganciava la corda ad un uncino (crocco) sospeso ad un cinturone sistemato in vita e sfruttando la trazione ottenuta dall’azione combinata della gamba e della schiena portava la corda a bloccarsi in corrispondenza del meccanismo di tiro (noce). L’azione caricamento/tiro della balestra era piuttosto lenta ma la capacità di penetrazione del suo dardo (quadrello, verrettone) era molto elevata. In Italiana, durante tutto il medio evo, la balestra è sempre stata preferita all’arco ed in conseguenza corpi di balestrieri provenienti prevalente mente dal nord Italia e genericamente definiti “Genovesi” erano ingaggiati come mercenari da tutte le potenze d’Europa.

17/18 – Arcatori fiorentini.

Come visto sopra presso gli eserciti dell’Italia comunale l’arco non era in auge. Più piccolo e meno potente del ben più famoso ed efficacie long bow inglese l’arco di casa nostra veniva usato in prevalenza dai soggetti provenienti dal contado, dove i “villici” se ne servivano per la caccia. Da notare come nell’uso dell’arco medievale, long bow compreso, in fase di tiro la freccia poggiasse sulla mano che stringe l’arco all’esterno di quest’ultimo e non all’interno come avviene attualmente con l’arco moderno. Mi fa piacere segnalare che li pezzo della figura 18, al quale sono molto affezionato, è una realizzazione del 1987!

 

19 – Ufficiale di fanteria fiorentina.

 

A destra dell’immagine, altrimenti quasi invisibile, si noti la figura raffigurante Calcagno Bonaccorsi, Gonfaloniere (comandante in capo) del sestiere di S. Pancrazio. Calcagno indossa l’usbergo completo di cuffia a ventaglia al cui interno, in corrispondenza del cranio, trova posto una protezione rigida di forma globulare. La protezione del tronco è doppiata da un incoiato. Lo scudetto al petto porta lo stemma Bonaccorsi dei Noferi: trinciato d’oro e di rosso, alla banda d’azzurro attraversante, accompagnata da ciascun lato da una stella dell’uno nell’altro (Crollalanza). Altri autori come Wills o il Rietztap propongono varianti di questo stemma o altri del tutto diversi appartenenti a varie diramazioni della famiglia.

20/23 – Miniature della Bibbia Maciejowski.

Pierpont-Morgan Lib., New York.

Anche per quanto riguarda l’armamento dei cavalieri le miniature della Bibbia Maciejowski, come per le fanterie, sono una preziosa miniera di informazioni. Il ciclo e talmente ampio che a dispetto di quella che a prima vista può apparire una certa ripetitività, un esame attento ed approfondito delle varie immagini nel loro insieme rivela un repertorio tipologico davvero ragguardevole. La straordinarietà di quest’opera è che racchiude in sé, confermandoli e mettendoli in uno stretto rapporto gli uni con gli altri, tutta una serie di elementi relativi all’armamento europeo occidentale del XIII secolo. Può apparire scontato che la protezione della testa prevalente del cavaliere duecentesco è il grande elmo a cielo piatto, ma in quale altra fonte la sua forma è così puntualmente precisata? Dove appare con altrettanta continuità che detti elmi fossero dipinti, dorati o argentati? Altrettanto importante è il coesistere di questi elmi con i cappelli di ferro, i caschi a nasale e le cervelliere indossate indifferentemente sopra o sotto la maglia di ferro. Si noti anche che l’usbergo è portato sia a vista che sotto una veste in tessile. Il fatto che i personaggi che portano il grande elmo abbiano sempre l’usbergo coperto dal tessile pare suggerire una diversificazione gerarchica azzardabile ma non sicura: nobili cavalieri e non? Le varie posizioni in sella dei personaggi, diverse in base all’azione che stanno svolgendo ma comunque sempre caratterizzate dalla gamba distesa e protesa in avanti, denota la dimestichezza dell’artista con le pratiche militari a lui contemporanee. Molto capiti e capibili i cinghiaggi dell’equipaggiamento dei cavalli fra cui il doppio sottopancia. Raro il particolare della grande cinghia che attraversa il petto e prosegue lungo i fianchi dell’animale fino a terminare il proprio giro in un’affibbiatura dietro la sella, concepita proprio per impedire lo slittamento all’indietro della stessa sella in fase di combattimento. Le coverte dei cavalli appartengono ad uno dei modelli più diffusi anche se è da sottolineare che, diversamente da quanto appare nella quasi totalità delle figure in commercio, la coda rimane tassativamente sotto la coverta! La panoplia di armi d’offesa proposta è la più ricca; eccezionale lo spadone a due mani ad un solo taglio con cui un cavaliere “apre” in due un avversario facendone schizzar fuori le budella. Nelle immagini di modelli di Cavalieri che seguiranno saranno ben visibili tutti i particolari tratti dalla Maciejowski e dalle altre fonti iconografiche di prossima trattazione.

24 – Statue di Cavalieri. Facciata della cattedrale di Wells, 1230-40.

 

Grazie ai loro dettagli ed alle loro elevate dimensioni i cavalieri di Wells sono fra le più importanti raffigurazioni di armati della loro epoca. L’elmo mostra una concezione costruttiva e quindi una forma diversa rispetto a quelli della Bibbia di New York che, con tutta evidenza, proprio della tipologia di Wells sono evoluzione. Il personaggio di destra indossa una “cuffia ad armare” molto ben leggibile ed analoga a quella presente su un’effige di cavaliere collocata nella Temple Church di Londra e datata intorno alla metà del secolo. E pare più che evidente che il “bussolotto” a cielo piatto che costituiva il grande elmo della metà del XIII secolo non potesse essere indossato adeguatamente se non in presenza di un accessorio di questo tipo. L’altro particolare che apre a scenari per lungo tempo impensabili è quello che autorizza l’ipotesi della presenza in un’epoca così alta di una protezione del tronco rigida indossata al di sotto della veste. Mi riferisco all’andamento rigido della veste stessa alle spalle ed alle ascelle, particolare visibile anche negli armati della Bibbia Maciejowski. Tutti gli studi più recenti danno il massimo credito a questa ipotesi.

25 – Dettaglio del monumento funerario di un Cavaliere ignoto.

Pershore Abbey, Worcestershire, 1250-300.

Il dettaglio di una struttura rigida, chiusa con un sistema di cinghiette affibbiate, indossata sotto la veste, conferma in modo inequivocabile la presenza di protezioni rigide del tronco già nel corso delle decadi centrali del XIII secolo.

 

26 – Guardia dormiente, da un reliquiario tedesco della seconda metà del XIII sec.. Provinzial Museum, Hanover.

 

Nel caso di questa statuetta la protezione del tronco è ottenuta con una serie di placche rettangolari (metallo, cuoio?) rivettate all’interno della veste. Le teste dei rivetti, quattro per ciascuna placca, sono a vista sulla superficie della veste. Interessante anche il grande elmo che si completa in quella che pare essere una sorta di visiera fissa a protezione del volto.

27 – Elmi da cavaliere, 1200-1260. Prototipi per l’assemblaggio delle figure del diorama della battaglia di Montaperti.

I cinque elmi raffigurati costituiscono una linea evolutiva della tipologie attraverso le quali si è sviluppato l’elmo chiuso durante i primi due terzi del XIII secolo. La datazione e le relative fonti di riferimento, partendo dall’elmo a sinistra, sono le seguenti: 1200/20, sigillo di sir Robert FitzWalter, British Museum; 1220/40, affreschi, sala di Ivano nel castello di Rodengo (Alto Adige); 1240/50, Statue della facciata della cattedrale di Wells; 1250/60, Bibbia Maciejowski, Pierpont Morgan Lib., New York; 1260, reperto, Dargen, Germania (perduto). Questi elmi, salvo il primo, sono stati utilizzati per equipaggiare le figure del diorama di Montaperti visto che è ragionevole immaginare che non tutti portassero armamenti all’ultima moda.

 

28 – Foglio di lavoro dedicato alle testimonianze iconografiche relative ad elmi dipinti con colori araldici.

 

L’immagine in alto è tratta da un manoscritto di area provenzale. Quelle centrali sono figure dipinte a fresco sulle pareti del palazzo della Ragione di Mantova. Il cavaliere con scudo ed elmo rossi decorati con un giglio bianco potrebbe rappresentare un ghibellino fiorentino, ma non se ne ha conferma. L’immagine in basso a destra propone un affresco collocato nel Museo Civico del Broletto di Novara. Detto che numerose sono anche le immagini pervenuteci di elmi con raffigurazioni araldiche di area spagnola e tedesca, tutto questo sottolinea una volta di più la sostanziale omogeneità di armamento e di “look” del cavaliere in tutto l’occidente europeo nel corso del tredicesimo secolo.

29 – L’araldica e la guerra. Estratto dal libro “Montaperti. La battaglia nel diorama di Mario Venturi”.

La tavola è opera di Angelica Cortini.

 

 

30 – Cavalcante de’ Cavalcanti, 1250/60. A) matrice di sigillo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze; b) ricostruzione grafica di E. T. Coelho dal libro “Il sabato di S. Barnaba”.

 

Eseguire ricostruzioni grafiche tratte da manufatti di piccole dimensioni e/o con particolari resi in modo approssimativo richiede un grado di competenza molto elevato. Se il disegnatore ne è provvisto, come nel caso di Eduardo Coelho, le sue ricostruzioni possono essere una delle migliori, se non la migliore, fonte di ispirazione nonché documentaria per i costruttori i soldatini.

31 – Gualtieri di (Walther von) Astimberg. Illustrazione di Angelica Cortini per il libro “Montaperti. La battaglia nel diorama di Mario Venturi”.

Gualtieri di Astimberg a Montaperti faceva parte del contingente di 800 cavalieri pesanti tedeschi inviati dal re Manfredi in aiuto delle forze ghibelline di Toscana che in quegli anni, con alterne fortune, si contrapponevano ai Guelfi di Firenze e compagnìa (Lucca, Bologna, Pistoia, Prato, Volterra, San Gimignano, Colle Val d’Elsa, Orvieto, Perugia). Al di là delle ancora “spumeggianti” velleità campanilistiche dei Senesi nei confronti dei Fiorentini sostenute da qualche cronista coevo di parte, furono proprio questi cavalieri tedeschi con il loro intervento a determinare le sorti della battaglia. Certamente ancor meno apprezzabili sono in questo caso i cronisti di fede fiorentina: nei loro scritti quasi non c’è traccia dell’evento! Si narra dunque che il prode Gualtieri fu il primo a dar battaglia, caricando con la lancia tenuta all’ascella (all’avvento della resta mancavano ancora 120 anni buoni…). L’impianto del disegno di Angelica Cortini si rifà principalmente alle miniature della Bibbia Maciejowski: qui, come altrove, lo stile dell’elmo domina in modo determinante il “look” dell’armato. La decorazione della coverta costituita da un seminato di scudetti araldici è la più adeguata all’area tedesca. Moderni appaiono l’imbottito alla coscia ed il ginocchiello metallico. La curvatura della superficie dello scudo, qui correttamente rappresentata, purtroppo spesso latita nelle illustrazioni e nelle produzioni modellistiche.

 

 

32 – Provenzan Salvani, cavaliere senese.

 

Provenzan Salvani protagonista di primo piano della giornata di Montaperti era il capo del partito ghibellino di Siena. I Fiorentini si vendicarono di lui di lì a nove anni quando l’8 giugno 1269 alla fine della battaglia di Colle Val d’Elsa infierirono sul suo cadavere infilandone la testa mozzata in cima ad una picca. Provenzano è rappresentato qui armato di tutto punto. Piastra e maglia di ferro, cuoio cotto, imbottito, sono i materiali del suo armamento difensivo; anche il cavallo è protetto da una barda di maglia di ferro. L’elmo, in stile Bibbia Maciejowski, è rappresentato come fosse dorato “a oro bono a missione”. Cennino Cennini nel suo “Libro dell’arte” ,scritto durante i primi anni del quattrocento, dedica ampi paragrafi alla decorazione delle armi. Lo stemma di Provenzano, trattato a damascato (diaprato) sulla coverta, è uno spaccato d’oro e d’azzurro a 3 stelle (2,1) dell’uno nell’altro.

33 – Farinata degli Uberti, ghibellino fiorentino fuoriuscito.

“Vedi là Farinata che s’è dritto: dalla cintola in su tutto il vedrai”, sono i versi con i quali Dante nel X canto della Divina Commedia ci ricorda Manente degli Uberti detto Farinata. Farinata, capo sia della sua casata che del partito ghibellino di Firenze, era stato cacciato dalla città dell’Arno insieme a tutti i suoi nel 1248 per cui a Montaperti era al comando del contingente dei fuorusciti fiorentini e di conseguenza uno dei più eminenti capi dell’esercito ghibellino composto dall’aggregazione intorno a quello senese della schiera di cavalieri tedeschi mandati da re Manfredi e dalle masnade facenti capo ai maggiorenti del ghibellinismo di Tuscia. A dispetto della intercessione di Farinata, risolutiva per la mancata distruzione di Firenze inerme nei momenti successivi la rotta di Montaperti, i suoi concittadini si vendicarono di lui e della sua famiglia condannandoli tutti per eresia post mortem, da cui la collocazione all’inferno da parte di Dante. Il blasone, vale a dire la descrizione a parole dello stemma, di Farinata offre l’occasione per una precisazione in ambito di linguaggio eraldico. Partito, al 1° d’oro alla mezz’aquila di nero nascente dalla partizione, al 2° scaccato d’oro e d’azzurro. Se il blasone fosse stato “al 1° d’oro all’aquila di nero, senza ulteriori specifiche, l’aquila stessa avrebbe dovuta essere raffigurata intera.

 

 

34 – Aldobrandino Aldobrandeschi, comandante senese.

 

Il conte Aldobrandino comandava la terza divisione, quella composta dalla cavalleria senese. Il contrassegno della “balzana” sulla coverta del cavallo allude a questa carica. La sua famiglia, originaria di Roselle, dominava vaste zone del Monte Amiata e della Maremma. La figura propone un elmo del tipo più moderno, quello così detto di Dargen, dal luogo di provenienza. La carica araldica del suo stemma e delle più inusitate; il Crollalanza blasona come segue: d’oro al leone di rosso avente a ridosso una mezz’aquila spiegata dello stesso. Lo stesso autore aggiunge un capo dell’Impero. E’ da sempre mia opinione che per un’epoca così alta i capi (Angiò, Impero) possano (debbano?) essere omessi: accetto obbiezioni!

 

35 – Andrea Beccarini, cavaliere senese.

Andrea Beccarini, cavaliere senese cadde a Montaperti. Stemma: spaccato, al 1° d’oro al leone di nero nascente dalla partizione, al 2° scaccato d’oro e di nero. Il corretto disegno di uno scaccato vuole che la fila orizzontale di ampiezza massima sia composta da 3 pezzi di un colore e 3 dell’altro. Il cappello di ferro è dipinto con i colori dello stemma. La protezione di gamba consiste in una calza a maglie piene allacciata dietro di tipo arcaico.

 

 

36 – Carica della cavalleria senese.

 

Oltre all’Aldobrandeschi (vedi fig. 43) l’immagine propone Giovanni Ugurgieri, cavaliere senese morto in battaglia. Anche in questo caso lo stemma è molto particolare e molto “italiano”. Il Crollalanza ne semplifica l’interpretazione blasonandolo con la seguente frase araldica: d’oro a tre leoni d’azzurro che reggono una ruota rossa. Derivati dai conti della Berardenga gli Ugurgieri erano una delle più importanti famiglie di Siena dando alla propria città numerosi consoli, gonfalonieri e capitani.

 

37 – Giacomo del Tondo, cavaliere senese.

L’elmo è di un tipo proposto da Viollet-le-Duc e si caratterizza per una sorta di visiera “a sportello” incernierata e rinforzata. Si notino il damascato della veste e la croce bianca ghibellina cucita sul petto. I “tondi” dello stemma parlante si abbelliscono fino a diventare dei “cinquefoglie”.

 

 

38 – Cavaliere senese degli Accarigi.

 

Questo membro della nobile famiglia degli Accarigi indossa un elmo a cielo piatto e visiera globulare proprio ad un periodo antecedente alila battaglia di alcune decadi. La tipologia delle briglie e delle redini è del tipo più diffuso alla metà del XIII secolo.

 

39 – Bandiera della cavalleria dei ghibellini fiorentini fuoriusciti a Montaperti.

Quella di una pantera al naturale su fondo azzurro è la più accreditata ipotesi di ricostruzione della bandiera in oggetto. Il cavaliere indossa un’armatura di scaglie (brunia) ed un elmo ottenuto dall’assemblaggio di 5 piastre metalliche più una sesta a formare un rinforzo frontale. La foggia decisamente cilindrica è tipica degli anni quaranta e cinquanta del XIII secolo. Lo stemma originario di Firenze, qui sullo scudo, rimase ai ghibellini sbanditi dalla città quando i guelfi, preso il potere, decisero di invertirne i colori nel 1251.

 

 

40 – Giovanni Guastelloni, cavaliere senese, gonfaloniere del terzo di San Martino.

 

A tutt’oggi non ho risposte certe sull’esatto significato militare del termine gonfaloniere nella Toscana del XIII secolo. Si tratta del portatore di un’insegna (gonfalone) oppure del comandante di un reparto (ancora gonfalone)? Pur propendendo per la prima ipotesi, e sarebbe lungo argomentare, ho qui rappresentato il Guastelloni recante la bandiera del terzo di San Martino. L’elmo, del tipo Bibbia Maciejowki, è dipinto ai colori della stemma: d’Argento al palo di Rosso.

 

41 –Giovanni Tornaquinci, cavaliere fiorentino del sestiere di San Pancrazio.

La variante dello stemma Tornaquinci rappresentata si blasona “inquartato in croce di S. Andrea d’Oro e di Verde.” Sia la veste che la coverta hanno l’araldica disposta con la formula del seminato. La protezione della testa è un cappello di ferro con il coppo ai colori dello stemma.

42 – Giunta della Vigna, miles carrocci fiorentino.

 

Credo superfluo in questa sede dilungarmi in spiegazioni su cosa fosse e cosa rappresentasse il carroccio dell’epoca comunale italiana. Quello fiorentino del tempo di Montaperti era difeso da un corpo specializzato di cavalieri e fanti: i milites carrocci e i pedites carrocci. Giunta della Vigna era uno di questi cavalieri per cui la sua coverta ospita la scudetto bianco con croce piccola rossa, marchio distintivo di questa milizia. Il suo elmo assemblato con un pricipio costruttivo piuttosto arcaico si apre sul davanti mediante uno sportellino incardinato così come appare in un disegno di Viollet-Le Duc. Di grande effetto il leone bandato d’Argento e di Nero delle stemma.

 

43 – Oddo Infrangipane di Altomena.

Si narra che di far suonare la campana detta martinella issata su un campanile di legno montato su un carro da portare in battaglia fosse affidata durante la campagna di Montaperti ad un certo Oddo Infrangipane di Altomena, località collinare ad una ventina di chilometri da Firenze.

44 – Bandiera della cavalleria del sestiere di San Pancrazio.

 

Nella Firenze di “Primo Popolo” l’insegna della cavalleria di S. Pancrazio era di rosso pieno, come testimonia il Villani nella sua cronaca. Qui il drappo è stato impreziosito con una damascatura. Il cavaliere che porta la bandiera indossa un’armatura del tipo così detto “all’eroica”. Benchè questo tipo di armature, ispirate a quelle dell’antichità classica, vedano il loro massimo sviluppo nel corso del cinquecento, anche nei secoli precedenti si hanno notizie e referenze iconografiche della loro presenza. Valga per tutte il ciclo di affreschi della Rocca Borromeo di Angera raffiguranti la cattura di Napo della Torre, datati alla fine del XIII secolo.

45 – Saccheggio del campo fiorentino durante la giornata di Montaperti, 4 settembre 1260.

La figura di sinistra ritrae Bocca degli Abati. Nella Divina Commedia Dante lo colloca all’inferno nel girone dei traditori in quanto capo dei ghibellini fiorentini che con il loro proditorio passaggio al nemico all’inizio della battaglia avevano creato i presupposti della sconfitta dell’oste guelfa. Il suo blasone recita: D’azzurro, al palo d’argento. Il suo elmo, poggiato sulla botte è ai colori dello stemma mentre la decorazione della veste consiste in fitto seminato dello stemma stesso in un gioco “colore su colore”. Bocca inneggia alla cattura della bandiera fiorentina per eccellenza, il giglio vermiglio simbolo della città mentre l’altro armato lo imita innalzando l’insegna della società militare (gonfalone) del “lion bianco”, del sestiere di San Pancrazio portata in battaglia o da Mompi de Mompi o da Ruggerino Minerbetti. Bocca porta in testa la cuffia ad armare, documentata a partire dagli anni quaranta del secolo, necessaria a bloccare in posizione il grande elmo di forma cilindrica. Il caduto a destra porta lo stemma della famiglia fiorentina dei Pilastri: D’oro, alla croce spinata d’azzurro.

46 – Visione d’insieme del diorama della battaglia di Montaperti.